Da sempre sogno, o penso, di voler scrivere di me, il perché non mi è chiaro.
Di sicuro, mi piace scrivere.
Mettere parole nero su bianco è come fermare i pensieri, che fanno meno male, una volta lasciati andare.
O così sembra.
Fermare immagini, ricordi é un po' come consegnarli all’eternità; come una foto, la cui bellezza non sta’ in quello che ritrae, ma in quello che ci ha visto chi l'ha scattata.
Ci ho provato più volte, ma io sono, per definizione di chi mi conosce, una persona scostante, che lascia le cose a metà. In realtà questo è stato il giudizio del mio babbo legato al percorso universitario che non ho completato, ed è un giudizio che pesa, e, ormai è anche il mio.
Io sono quella che una ne fa e mille ne pensa, è vero, e che
per paura di non riuscire non ci prova nemmeno.
Io sono quella che si annoia con la stessa facilità con cui si
accende di entusiasmo.
Ma restano giudizi.
Quello che sono è il frutto di scelte e di cose che mi sono cadute addosso da 44
anni ad oggi.
Dei miei capelli rossi, che io amo, ma che, forse, ho
sofferto.
Del mio corpo generoso e di quella bulimia nella quale cado e mi rialzo da anni.
Del mio cordone ombelicale così forte, di tutte le mie
paure, della mia voglia e bisogno di apparire, di attenzione e la sensazione di
non essere, mai, all’altezza.
Sempre sulle sabbie mobili, alla ricerca di una perfezione
che non ho mai raggiunto, di un controllo che non ho mai avuto.
Io non lo so, quando è cominciata questa sensazione di
inadeguatezza, e il senso di colpa per essere una persona fortunata, eppure
incapace di vivere la mia felicità.
Io non lo so, se tutto questo lo porterò in fondo, ma so che
avrò un posto dove scrivere, quando ne avrò voglia, cercando di guardare a
quello che mi fa male o che mi rende felice e, forse, coglierne il senso, o
realizzare un disegno in cui rispecchiandomi, ritrovi i pezzi e riesca a
rimetterli al loro posto.
Perché adesso mi sento come un puzzle in una scatola; ci
sono tutti i pezzi, ma come rimetterli insieme, questo, ancora no.
So che dovrò fare, di nuovo i conti con quell'approvazione che non si concretizza.
Dovrò ripercorrere le mie scelte, i miei fallimenti, i
compromessi.
L’amore incondizionato per i miei genitori, mio fratello,
mio nipote e la concreta possibilità di non diventare mai mamma.
Uno stipendio che non mi permette quattro mura per essere
indipendente.
La mia danza che mi sta' scivolando
dalle mani.
E non lo so se sia un caso, che tutto questo, lo stia
scrivendo nei giorni del mio COVID, con la solita faccia di quella che se la tira, mentre dentro, tutto
crolla.
In attesa del tampone, non riesco a non ascoltare la mia testa, le mie paure, e gli occhi si bagnano.
Guardo la tastiera del computer e non so nemmeno perché sto scrivendo ne cosa scrivere.
Mi sento immobilizzata ed è quello che mi succede sempre di
fronte alle difficoltà. La testa parte per i suoi viaggi, diventa il caos e, io,
incapace di muovermi in quel caos, di spingere via quelle sensazione che in
quel momento non servono, prendo schiaffi in faccia ovunque mi giri e mi perdo.
Che brutta sensazione eppure sono le stesse sensazioni con cui affronto ogni giorno
Mi sento fragile, o forse più stupida, perché il mondo va
avanti incurante e io, resto qui, ferma, a guardarmi intorno a cercare uno spiraglio che, anche ci fosse, non vedrei, probabilmente.
Mi viene in mente che sto affrontando questa attesa con la
stessa modalità con cui affronto il mio peso, ogni giorno sulla bilancia, anche
due volte al giorno, nella speranza di vedere chissà cosa e registrando ogni minima variazione in negativo come un fallimento.
Questa volta non potrò viverla così, ma so già che potrei voler tenere sotto controllo i miei indicandogli cosa devono fare e assillandoli, con il senso di colpa e una paura crescente.
O, forse, come è
accaduto in qualche situazione, a quel punto mi rialzo e reagisco.
E la mia modalità, lo so, ma è una modalità che faccio
fatica a gestire, perché, ad oggi, non c’è un punto fermo nella mia vita.
POSITIVA
Perché poi arriva quella risposta ed è il gelo. Il magone
allo stomaco. Le lacrime. La paura .
Adesso una certezza ce l’hai.
Sola, nella mia stanza, con la paura per i miei che cresce,la certezza della positività si perde nell’incertezza sul da farsi.
Si rincorrono sensazioni che non so
gestire.
Mi sento in colpa
Miliardi di messaggi, tanti consigli, qualche cuore sincero.
Continuo a piangere, mentre mi dico, che devo organizzarmi,
sistemare le cose e capire come girare per la casa senza incrociare i miei, ma
non so come.
Dovrei farmi portare da mangiare in camera? Non voglio che
diventino i miei servi.
Vorrei dire che è tutto assurdo, invece è reale e lo sento.
Ne sento ogni sfumatura, per fortuna, solo psicologica,
visto che il mio corpo è solo una fabbrica di moccico
Il mio corpo, che , di nuovo , in una giornata come questa,
trova sollievo nel cibo, nel bicchiere di vino, senza, ormai
nascondersi più se non dallo specchio, se non dietro al Covid in un circolo
perverso e pericoloso.
Giornata interminabile. Paure a pelle. Fragilità
Rifletto, sul Covid e la bulimia, su quanto, seppur diversi si assomigliano. Su quanto, nonostante possa sembrare che stai bene, ti logori dentro.
Da fuori solo chi sa, conosce; chi guarda con occhi
superficiali, non vede né l’uno è nell'altro
Mi guardo allo specchio con gli stessi occhi di allora
L’immagine è quella di una persona sana, ma dentro, c’è
qualcosa che cerca di farmi del male e che il mio corpo cerca di combattere.
Il problema, in entrambi i casi, forse è la testa.
O forse no.
Questo è solo un input per analizzare di nuovo quella debolezza che mi porto dentro da anni e che non
mi fa sentire in colpa verso chi davvero sta male.
Non lo so se ci siano delle affinità, e non so come mi è
venuto di pensarci, forse perché ancora una volta devo combatterla, la bulimia, e
mi sembra così difficile.
Probabilmente, o forse lo spero, guarirò prima dal Covid
che dalla bulimia.
Ma potrebbe essere un percorso da fare in parallelo o,
forse, è soltanto un’altra stupida e pessima idea che finirà per rompermi le
ossa
Di sicuro, di fronte
a un referto non posso non ignorare il Covid ;di fronte ai
segnali del mio corpo, non posso ignorare la bulimia
E poi i pensieri dilagano.
Penso a come, dove, quando possa aver contratto il Covid, a come non sia riuscita a difendermi.
Penso a cosa ho perso l'ultima volta che mi sono difesa: due anni di liceo e il controllo.
Insieme all' egoismo, l’egocentrismo e tante opportunità
Che poi non lo so se davvero sia cominciato tutto li, dalla
scuola, da quel professore, da quella interrogazione o se sia un film che mi
sono costruita in testa per non dover andare ancora più indietro o guardarmi
intorno.
Per non ascoltare le voci delle mie compagne che criticano i
miei leggins o i commenti sulle mie tette, la sola cosa per cui fossi
apprezzata alle medie, o, ancora, quelli sui miei capelli.
Insomma, da dove comincia tutta la mia insicurezza, il mio non sentirmi mai all’altezza, non lo so.
Di certo, ha avuto un ruolo nel non fare la ballerina, nel
non averci provato, che poi nemmeno so se fossi cosi brava, ma qualcuno mi ha
detto e mi dice che avrei dovuto provarci.
Di certo, ha avuto un ruolo nel mollare l’università quando
le cose si facevano difficili e faticose.
Di certo, ha un ruolo ora, che sono in un ambiente di lavoro
dove le mie insicurezze e il mio senso di inadeguatezza viene amplificato
da ogni errore o distrazione che
vale di più di mille mila cose fatte bene, con entusiasmo, della voglia di
imparare, di esserci sempre, che è semplicemente nella mia indole
Riflettevo in questi giorni di lezioni on line, per il pilates con la sedia e in quello che é uscito
dalle due lezioni con le mie bimbe, in cui ho messo un po' delle cose che ho visto in giro , e praticato, durante il lockdown e in questo
periodo, negli sprazi di lucidità
Riflettevo su quanti spunti mi danno gli allievi e quante
cose potrei fare, quanti corsi da rivedere e quanti ne potrei ancora fare,
documentarmi studiare.
Ma non trovo mai il tempo
Eppure non serve tanto
Le competenze ci sono basta ritirarle fuori
Riflettevo che mi piacerebbe tanto tornare nel mio mondo ed
è un pensiero azzardato in questo momento, ma, forse, proprio per questo si
chiamano sogni
Mi accorgo, che anche davanti ad una telecamera, seppur per
poche persone, porto avanti le mie lezioni e mi sento nel posto giusto.
Spariscono gli specchi e le paure, le insicurezze diventano
spunti di fare, di ricerca che poi cadono nel passare del giorno fra un impegno
e l’altro, dove non c’è tempo per me.
Ma è colpa mia, manco di determinazione e di egoismo,
quell’egoismo che mi é stato rubato o che, forse, sono io che ho offuscato in nome
di chissà che cosa.
Mi sono guardata in quello schermo, nei miei 80 kg di peso, che sembra messo li a proteggere un nucleo profondo che non riesce ad uscire,
che non riesce a spogliarsi di quei kg, del peso di una vita che non e come
vorrei o, forse, solo immaginata.
Si è vero ho tanto altro, e si chiama famiglia, quella che ancora
mi sostiene, che si è presa il Covid con me, o l’ha rischiato.
Ho pensato e mi sono chiesta che cos’ho da perdere se mando
tutto al diavolo?
Cos’ho da perdere se dico no quando le cose non mi vanno
bene, o se pretendo delle attenzioni e dei riconoscimenti che mi spettano?
Al massimo non gli ottengo,
Ma, forse, smetto di perdere autostima, rispetto, di perdermi e, forse, soltanto forse,
ritrovo me stessa, mettendo un punto a quella storia cominciata tanto tempo fa.
Io non lo so se ci riuscirò mai ad essere diversa da quella
che sono adesso, ma il mio egoismo mi manca, mi manca piacermi, mi manca
sentirmi al posto giusto e ci deve essere un modo perché torni fuori quello
che, per troppo tempo, e rimasto sopito, ovattato dal peso, perché io lo sento
gridare e fa davvero male non riuscire a dargli una forma.
Mi hanno detto che dovrei credere in me stessa, mi sembra una roba impossibile.
Guardare a quanto di bello ho, ma ,io, non lo vedo.
Si fa tutto un gran parlare di ricominciare da se stessi, ma quando mi chiedono chi è Pamela, io non so rispondere.
Pamela è una testa di ricci rossi, e adesso i miei capelli sono lisci.
Pamela è un corpo fatto di curve che non fa fatica a muoversi e non si vergogna a mostrarsi.
Pamela é colei che ha scelto di insegnare per trasmettere una passione, perché altri non dovessero farsi male di fronte alle difficoltà E' quella che chiede agli allievi di non aver paura di sbagliare, é quella, che dopo averli brontolati, dice loro che non devono permettere a nessuno di decidere quanto valgono.
E allora, forse, Pamela, dovresti chiudere quel cerchio, e ripartire da qui, da dove ti senti nel posto giusto. Ora che il Covid ti ha messa di fronte allo specchio.
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